Feb 20
Manifesto dei Glocalisti
Noi siamo glocalisti:
1. perché sappiamo che la tecnologia, cambiando le nostre idee di tempo e di spazio, ha cambiato il mondo e l’ha reso uno
2. perché sappiamo che in un mondo della conoscenza è l’innovazione il momento nel quale sapere e potere si incontrano per fare il costume, i valori, la storia
3. perché sappiamo che innovazione vuol dire opportunità ma anche minacce
4. perché sappiamo che tempo e spazio zero vogliono dire dominio della mobilità sulla stanzialità
5. perché sappiamo che mobilità vuol dire flussi, reti, nodi di relazioni indipendenti dal territorio e dai suoi confini
6. perché sappiamo che relazioni senza confini cambiano il significato di luogo, lo avvicinano a quello di nodo e aprono un nuovo rapporto tra globale e locale: attraverso le reti il globale entra in tutti i loci e ogni locus fa parte direttamente della dimensione globale
7. perché sappiamo che questo nuovo mondo glocale sarà il nostro mondo e il nostro destino
Ma noi non ignoriamo:
8. che glocalismo non deve voler dire uniformità apolide, macdonaldizzazione, squilibri, ecodrammi
9. che per evitare queste minacce ci sarà sempre più bisogno di nuove politiche e nuove istituzioni
10. che nuove politiche e nuove istituzioni vogliono dire nuovi poteri
11. che in un mondo di mobilità il ricorso alla violenza legittima e il controllo del territorio conteranno sempre meno
12. che per fruire del globale ma nello stesso tempo difendere i nostri spazi locali non servono frontiere, cittadinanze, sovranità e localismi subalterni
13. che la fine dei nazionalismi non deve voler dire fine delle identità culturali etniche territoriali
14. che nel villaggio globale protagonisti sono i movimenti sociali
15. che gestione della mobilità e gestione del territorio devono trovare nuove relazioni politiche
16. che nella mediazione tra convivenze ed economia l’istituzione centrale è l’impresa
17. che l’impresa è regolata dai mercati globali
18. che su tali mercati le popolazioni di imprese operano per reti di funzioni tra loro intrecciate secondo logiche di scala globale
19. che tali funzioni determinano flussi di mobilità di beni, persone, relazioni in parte sganciati da considerazioni territoriali
20. che le tradizionali istituzioni politiche nazionali o regionali sono sempre più in difficoltà nel condizionare tali relazioni
21. che solo nuove istituzioni glocali capaci di raccordare imprese globali e popolazioni di imprese locali possono mediare economia globale e convivenze locali
22. che la crisi dello stato nazione nella sua capacità regolatrice è irreversibile e solo una profonda innovazione istituzionale potrà salvarci
Noi perciò rivendichiamo:
23. una nuova statualità nella quale individui, etnie, nazioni diverse possano convivere in parità; comunità territoriali e comunità di pratica possano intrecciare i loro interessi e le loro funzioni; reti e territori siano organizzati senza condizionamenti nazionalisti o localisti
24. una nuova cittadinanza basata sulla pluri-appartenenza
25. la conseguente possibilità di sentirci insieme cosmopoliti, italici, europei, mediterranei, italiani, padani, milanesi, cattolici, musulmani, liberali, socialisti, tecnici, umanisti, milanisti, interisti, ecc., senza perdere il nostro senso di identità politica
26. la possibilità di coltivare come singoli e come comunità tali nuove appartenenze
27. una nuova sorta di laicità spaziale che sia presidio alle nuove mobilità nella consapevolezza che una vita fruita tra molte appartenenze e in molti loci è assai più vera e più ricca di ogni settarismo monocorde
28. la possibilità di operare liberamente nella ricca e dinamica struttura di reti funzionali e territoriali che il mondo glocale si appresta ad offrirci
29. una nuova governance cosmopolita indispensabile per assicurare, in un mondo glocale, ambiente, pace, diritti, giustizia
Per tutto questo siamo disposti a mettere in gioco:
30. la nostra attuale identità e soggettività politica per poter raggiungere nuovi assetti di rappresentanza e governabilità
31. il nostro tradizionale rapporto col territorio per prepararci all’avvento dei migranti che la mobilità di massa ci fa già incontrare
32. le nostre attuali istituzioni locali e nazionali per trasformarle e adattarle alle esigenze che il tramonto dello stato-nazione e l’avvento di un mondo glocale inesorabilmente ci porranno
Vogliamo lavorare all’avvento:
33. del nuovo pensiero, dei nuovi soggetti, delle nuove istituzioni e pratiche politiche che dovranno assumere il ruolo di ispiratori e attori della nuova era glocale
34. delle nuove aggregazioni che tale percorso dovranno soggettivare
35. di nuovi rapporti tra stanzialità e mobilità di cose, persone, idee
36. di regole di convivenza capaci di conciliare efficienza e democrazia nelle nuove comunità funzionali e di pratica a scala globale e locale
37. della riorganizzazione urbana animata dalle glocal-cities che stanno nascendo laddove nuovi plessi di reti funzionali si incontrano in modi nuovi con preesistenti aggregazioni civiche
38. della nuova geografia politica sub-nazionale che le aggregazioni regionali stanno disegnando quasi dovunque
39. delle relative istituzioni e dei loro nuovi poteri
40. dei nuovi livelli di statualità metanazionale che stanno emergendo nel mondo a cominciare dall’Europa
Lanciamo questo appello da Milano:
41. perché siamo consapevoli che l’Europa è il continente che ha inventato la Città
42. perché la ricostruzione della unità europea non avverrà componendo la sue realtà regionali e metropolitane secondo gli schemi imposti dall’avvento degli stati-nazione
43. perché l’integrazione e il riequilibrio tra le aree forti e meno forti d’Europa non sarà più affidato al solo potere unificante degli stati nazionali ma alla costruzione di nuove reti funzionali interregionali non necessariamente contigue
44. perché il modo in cui l’Italia farà parte dell’Europa sarà articolato: il Nord, il Centro, il Sud, le Isole si relazioneranno in modi nuovi con le omologhe realtà continentali e anche con quelle globali
45. perché in queste condizioni la glocal city nella quale viviamo, che noi chiamiamo Milania e che altro non è se non un pezzo della più vasta dimensione padana. non può sottrarsi alle sue responsabilità di aggancio all’Europa dell’intera realtà nazionale
C’è un grande lavoro da fare:
46. per meglio capire, disegnare, organizzare, istituzionalizzare la grande area metropolitana nella quale viviamo
47. per marcarne la nuova anche se ancora confusa identità
48. per raccordarla in modo nuovo col resto d’Italia e d’Europa
49. per consentire alle nuove istituzioni potenzialmente glocali come Camere di Commercio, Fondazioni bancarie, Provincie, Regioni, Agenzie di meglio raccordarsi con le multinazionali, le grandi banche, i raggruppamenti di piccole e medie imprese che già sono immerse nella sfida glocalista
50. per far sì che le migliaia di strutture associative e di servizio che ne animano i localismi apprendano a interconnettersi con la trama sempre più fitta di reti funzionali che le attraversano a scala glocale
51. per stimolare i nostri centri di vita culturale a rendersi sempre più consapevoli dell’alto tasso di innovazione che un processo di glocalizzazione comporta
52. per dare alla miriade di reti che la innervano, alle migliaia di imprese che la animano, alle mobilità che la vivificano efficacia e ordine
53. Un lavoro attorno al quale noi chiamiamo tutti coloro che condividono le nostre idee e i nostri propositi
54. Perché c’è bisogno di meglio capire le realtà nelle quali stiamo operando
55. C’è bisogno di formare intere generazioni alle nuove sfide che chiaramente intravediamo
56. C’è bisogno di veder nascere nuove realtà capaci di animare politicamente il nuovo mondo glocale
57. C’è bisogno che i milanesi si sveglino alle sfide della glocal-city in cui vivono
58. C’è bisogno che gli italici di tutto il mondo si ritrovino nel riconoscimento di una appartenenza che trascende, senza rinnegarla, quella di italiani, ticinesi, titani, dalmati, per ricongiungersi a chi – canadese, statunitense, latino-americano, australiano, extracomunitario immigrato in Italia, ecc. – è disposto per origini, interessi, cultura, valori, a riconoscersi italico
59. C’è bisogno di avviare insieme la costruzione delle nuove istituzioni e della nuova governance che il mondo glocale richiede
60. C’è bisogno cioè di una politica glocalista
Ad essa noi ci impegniamo a lavorare!
Piero Bassetti, Presidente Globus et Locus
Milano, 7 Gennaio 2008
Marzo 11th, 2008 at 15:27
Sono molti gli spunti di riflessione che emergono dai punti del Manifesto. D’altra parte come è giusto che sia, si tratta di un documento sintetico che deve invitare alla consapevolezza immediata ed all’azione.
Mi limito a evidenziare quelle che reputo le parole-chiave e a corredarle di qualche commento:
La tecnologia: ha cambiato il mondo ma come verrà ripensata in tempi di “glocalizzazione”? (Il problema è che la tecnologia possa farsi promotrice di una “globalizzazione dall’alto” in simbiosi con gli aspetti mercantilistici ed economicistici che tendono a definire i processi più “criticabili” delle dinamiche globali)
Tempo e Spazio: saranno le variabili principali del mutamento, esse già stanno cambiando. E’ necessario prenderne atto.
Mobilità e Stanzialità : gran parte della partita si giocherà in quest’ambito. Come dice Bauman, l’èlite che comanda e comanderà è quella che avrà il potere della mobilità sia fisica che soprattutto simbolica. Il potere di chi potrà, muovendosi, costruire e modificare le proprie identità, indossarle e correggerle relativizzando il tempo sulla base delle proprie risorse. Chi risiederà stabilmente subirà le poche identità che gli sono concesse di vivere, imprigionato in una condizione identitaria che lo costringerà a non sentirsi attore ed autore della propria vita, ma a subirla come pure lo scandire del tempo.
Mondo glocale come destino: Come dice Daniel Bell : “The nation-state now seems to be too big for the small things and too small for the big things”. Le dinamiche sono inevitabilmente globali e le ricadute inevitabilmente locali e naturalmente viceversa. Che lo vogliamo o no è questo ciò che ci aspetta: le leggi della globalizzazione sono come le leggi di gravità, sono fatti, esistono di per sé. Prenderne atto è l’unico modo per evitare errori fatali. Il glocalismo si pone aldilà del localismo autocentrico che vuole chiudere le frontiere e oltre la globalizzazione banale, quella uniformante e omogeneizzante di natura finanziario-economicistica. Il glocalismo deve farsi convergente (da una mia definizione di Glocalismo Convergente)
La violenza legittima: che questa possa diminuire è un concetto molto interessante, dettato soprattutto dal fatto che fino ad adesso sono gli Stati ad assumere il monopolio della violenza, che hanno esercitato nel corso del tempo compiendo stragi e carneficine continue come afferma Thérèse Delpech nel suo bel libro “L’ensauvagement”. Tuttavia la globalizzazione sta portando nuove violenze nel privato e nella sfera pubblica e le guerre sono diffuse più che mai. La domanda che sorge è allora: anche il glocalismo dovrà essere costruito con il ricorso alla violenza? Chi in futuro avrà il monopolio della violenza?
Nuove politiche e nuova governance: è questo, con grande probabilità, un periodo della storia del mondo epocale, per le trasformazione ed i cambiamenti che stanno avvenendo. Il problema è che la politica sembra avere come riferimento solo il paradigma statale di matrice post-westfaliana. Si vogliono risolvere problemi nuovi con metodi tradizionali e non solo, ma addirittura con epistemologie e cognizioni tradizionali. Il nuovo è già arrivato ma la politica appare più che mai vecchia.
L’impresa e il mercato globale: è il nuovo grande centro del mutamento, diavolo ed acquasanta della globalizzazione. Si dovrà fare ricorso a nuove categorie concettuali di riferimento. Se la razionalità dell’economia dominante è connessa alle idee di “ingegnere/industriale/imprenditore”, e per tanto alla conquista intesa come infinita, il nuovo sarà “il ragionevole” legato alle idee di “ingegnoso, industrioso, intraprendente”, ed anche al territorio e perciò alla misura, al senso del limite.
Pluri-appartenenza e cosmopolitismo responsabile: non è impoverirsi ma arricchirsi. O si gioca la propria vita negli spazi pubblici, accettando il rischio e la possibilità della perdita o all’opposto si accetta il rifiuto, la distanza, la sicurezza della propria e unica mono-appartenenza, che tuttavia genera discriminazioni e conflitti endemici.
Non credo di sostenere niente di più di quello che gli studiosi normalmente dicano e scrivano, ma la possibilità di un continuo scambio di idee può far nascere improvvisamente la luce per una strada che via via si faccia meno oscura e che allo stesso tempo permetta di prendere atto della condivisione delle proprie idee, in modo da essere ancora più sicuri e forti nel perseguirle.
Marzo 13th, 2008 at 16:15
Sviluppo qualche riflessione “sparsa” sul testo partendo da alcune sue enunciazioni e segnalando alcuni temi specifici:
- “In un mondo di mobilità il ricorso alla violenza legittima e il controllo del territorio conteranno sempre meno”. Questa è una affermazione che mi sembra, almeno per una sua parte, problematica. Se è certamente vero che, data la mobilità, il problema emergente che si pone non è più solo quello del controllo dei territori (ciò che faceva la statualità sovrana tradizionale) ma è diventato quello del controllo delle reti e dei flussi transterritoriali (si pensi al terrorismo transnazionale o alla criminalità organizzata transnazionale, alle loro reti e ai loro flussi), mi sembra però meno persuasivo e argomentato il dire altrettanto del ricorso alla violenza legittima. Forse che per stroncare le reti e i flussi della criminalità organizzata o del terrorismo non è più necessario il ricorso all’uso della forza legittima, e quindi una qualche forma di statualità (transnazionale e metanazionale, dato che le reti nemiche sono globali, e gli Stati nazionali, anche la stessa superpotenza, sono quindi impotenti) dotata di questa risorsa “di ultima istanza”? Il mondo continua ad essere “pieno” di casi di uso della forza, legittima (cioè legittimata da qualche Stato e da qualche organizzazione internazionale) e non (quella esercitata dagli attori “privati”, che sono i nuovi e invasivi detentori della forza del XXI secolo, concorrenti degli Stati). Forse sarebbe quindi opportuno approfondire il seguente percorso di riflessione: che rapporto c’è fra avvento del glocalismo (il fenomeno “nuovo”) e problema della violenza legittima (il fenomeno “vecchio”)?; che rapporto c’è fra nuova governance, nuove istituzioni e nuova statualità (glocali, globali) e problema, antico, dell’esecutività delle regole anche attraverso la coazione?; si può, si potrà davvero fare a meno dell’esecutività delle regole anche attraverso la coazione (in qualche modo una nuova versione della marxiana “società senza Stato”)? Forse sono percorsi di riflessione che potrebbero essere sviluppati ulteriormente.
- “Per fruire del globale ma nello stesso tempo difendere i nostri spazi locali non servono frontiere, cittadinanze, sovranità e localismi subalterni”. Ho qualche dubbio sul fatto che non servano “cittadinanze”. Del resto, nella parte successiva del Manifesto (Noi perciò rivendichiamo…), si rivendica proprio “una nuova cittadinanza basata sulla pluri-appartenenza”. Se la cittadinanza è intesa (come di solito è intesa) come status legale (diritti e doveri) e nello stesso tempo come pratica (partecipazione attiva ai processi decisionali pubblici), ogni diverso “spazio” (dal locale al globale) della nostra vita associata ha bisogno del suo livello di cittadinanza. Glocalismo vuol dire in sostanza più cittadinanze, più appartenenze, più identità.
- Mi sembra che nel Manifesto non compaia adeguatamente un tema trasversale: quello delle “comunità di pratiche” nel nuovo mondo globale/glocale. Le “comunità di pratiche” (concetto rilevante nei linguaggi sociologico e antropologico) sono comunità di persone “tenute insieme” da legami funzionali; svolgono le stesse attività o attività simili lungo reti relazionali che, nella globalizzazione, sempre più “saltano” i territori e i confini e danno quindi vita a nuovi “spazi” sociali transnazionali. Le “comunità di pratiche” incrociano in misura crescente, e in qualche modo dis-articolano, le “comunità di territorio” tradizionali. Mi sembra un concetto utile anche in relazione al tema delle “diaspore”, e quindi degli “italici”. Le diaspore potrebbero essere definite “comunità di pratiche glocali”, in quanto hanno perso e perdono progressivamente (il nostro caso lo evidenzia: dagli “italiani” agli “italici”) la loro identità etnico-linguistica e ne assumono una nuova culturale e funzionale (Appadurai le definisce “comunità di sentimento”, potremmo anche pensarle in quanto “comunità di pratiche”). Le diaspore, fra cui quella degli italici, sono i nuovi “popoli glocali” del XXI secolo, e sono gli attori che più di altri, proprio per la loro esperienza di pluridentità e di pluriappartenenza, possono contribuire in modo decisivo alla costruzione di una nuova polis planetaria.
Marzo 31st, 2008 at 10:48
Ho letto con interesse il manifesto. Sono d’accordo con lo scenario che viene tratteggiato, e anche sul concetto di “glocalità”. E’ evidente che il problema maggiore riguarda la creazione di nuovi schemi e poi di nuove istituzioni che possano aprire delle strade al di là dello stato territoriale, che mostra ormai dei limiti su tutta la linea, senza distruggere, anzi valorizzando, le identità locali e senza traumi eccessivi.
D’altronde le transizioni più importanti sono anche lente, le nuove statualità possono dapprima sovrapporsi alle vecchie, che possono sopravvivere a lungo ma, gradualmente depotenziate, non fare troppi danni (il Sacro Romano Impero è sopravvissuto a se stesso per un paio di secoli almeno). In fin dei conti porsi questi problemi è anche un fatto di responsabilità, perchè lasciare scenari nuovi con problemi nuovi a lungo senza risposta causa poi traumi davvero gravi, che si chiamino invasioni barbariche, guerre di religione o rivoluzioni.
Il concetto di nodo è probabilmente il più convincente, perchè permette di fruire delle reti senza togliere significato al “locus”. Inoltre un nodo può essere al centro di molte reti, non di una sola, e quindi permette la pluriappartenenza, che appare la sola alternativa al conflitto di tutti contro tutti. Credo che la pluriappartenenza sia utile anche per un altro motivo. La crisi economica che stiamo attraversando, come molte altre nel passato, è dovuta probabilmente alla lentezza di risposta che un corpo sociale troppo ampio e omologato mostra rispetto ai cambiamenti, che in sè sarebbero portatori di grandi opportunità. Per la singola persona, o per il singolo gruppo, la pluriappartenenza permetterebbe di avere molte vie al cambiamento, non una sola, e quindi si avrebbe una società molto più liquida e dinamica.
Una visione regionale più che nazionale dell’Italia e dell’Europa contribuirebbe all’avvicinamento delle istituzioni alla dimensione del “nodo”, e sicuramente Milania avrebbe tutte le caratteristiche di un nodo importante a livello mondiale (a proposito ti segnalo un sito che sta creandosi sulla base di una geografia del genere, anche se per ora si focalizza su aspetti sociali e culturali di interesse delle singole persone, senza scalare quote più alte e più ardue: http://www.internations.org/ ).
Sono anche d’accordo sull’articolazione Nord - Centro - Sud dell’Italia, anche se ne proporrei una alternativa: allargare il Nord alla Toscana, all’Umbria, alle Marche, lasciare da sola Roma col suo territorio e il suo modo molto specifico di essere centro di reti, e unire Abruzzo e basso Lazio al Sud.
Dopo di che c’è davvero un grande lavoro da fare! e sicuramente Milania una buona base, e gli italici una prima rete, non l’unica però. Un’altra potrebbe essere quella del design e delle capitali del bello, la si potrebbe chiamare Diotima.
Nel frattempo ho sentito che Londra e New York vogliono creare un dipolo atlantico chiamato NyLon: che dimostra come la prospettiva del MiTo sia troppo modesta - meglio Milania.
Aprile 11th, 2008 at 19:56
Un grande tentativo di modernizzazione del pensiero italico.
Condivido i commenti precedenti.
La necessità di prendere atto che la tecnologia ha cambiato le variabili di spazio e tempo deve tuttavia sforzarci di vedere come il nostro sguardo abbia un ritardo fisiologico rispetto alla realtà tecnologica esistente. Il glocalismo interagirà con tre nuove dimensioni, di portata pari al fuoco. DNA, il vuoto spaziale e la Rete sono parte del glocalismo. Il futuro è dentro di noi, nella bionica, nella microchirurgia, nella clonazione, nella tracciatura e schedatura genetica per i passaporti e per i computer per motivi di sicurezza. Per questo i glocalisti avranno bisogno di interpretare e promuovere nuovi paradigmi per comprendere l ubiquità digitale, la tracciabilità genetica e la verticalizzazione delle risorse naturali verso aggregati solo parzialmente controllabili e rappresentativi.
I glocalisti comprendono che la Mobilità e la Stanzialità fisica siano una parte importante di un nuovo paradigma sociale inclusivo. Mobilità e stanzialità racchiudono elementi di libertà ed innovazione quanto di nuovo schiavismo nomade. Se giustamente Bauman sostiene che l’èlite che comanda e comanderà è quella che avrà il potere della mobilità sia fisica che soprattutto simbolica. E’ importante avere chiaro che il potere della mobilità sarà tale solo quando essa sarà volontaria. I glocalisti dovranno per questo rendersi conto che mobilità e stanzialità si unicono al dualismo inevitabile della volontà/necessità esistenziale o familiare. Chi risiederà stabilmente subirà le poche identità che gli sono concesse di vivere, imprigionato in una condizione identitaria oggettivamente limitata che lo costringerà a non sentirsi attore ed autore della propria vita, ma a subirla come pure lo scandire del tempo.
Il multi-culturalismo identitario si fonderà non solo sul potere di chi potrà, muovendosi, costruire e modificare le proprie identità, indossandole e correggendole relativizzando il tempo sulla base delle proprie risorse. Il globalismo locale è anche la comunicazione, il linguaggio e la comprensione delle sfaccettature delle parole nelle lingue e nelle visioni valoriali delle identità plurali degli individui.
Per questo è importante riconoscere il valore emotivo delle radici linguistiche, culturali, storiche, artistiche, gastronomiche e musicali locali come veicolo di fusione con il mondo. La conoscenza non solo di sé e della propria lingua, ma anche e soprattutto la capacità di saper comunicare ed apprendere dall’ altro richiede che i glocalisti riconoscano nel multilinguismo un valore intrinseco e non solo funzionale come veicolo di conoscenza glocale Se lo stato nazione sembra essere troppo grande per le piccole cose e troppo piccolo per le grandi sfide, la comunicazione e l’ interazione tra individui contiene in sé la grandezza della sfida e la piccolezza del singolo essere umano rispetto alle nuove dimensioni della realtà. La ricerca di un piano comune di comunicazione dunque è di fondamentale importanza.
I glocalisti di domani sono i bambini di oggi. I bambini di oggi sono la prima generazione non analogica del globo. Nella comunicazione dei nuovi glocalisti, la tecnologia digitale sarà di fatto una parte fondamentale del loro sé espressivo. Per questo, i glocalisti si rendono conto che la comunicazione deve essere in grado di utilizzare le nuove tecnologie per far volare nuovi paradigmi tra i diversi piani identitari degli individui reali e/o digitali.